Non furono anni facili nemmeno a Sirta durante le diverse epidemie che periodicamente interessarono la Valtellina. Alle cause naturali, quali ad esempio la presenza di zone paludose lungo il corso dell'Adda, vanno ad aggiungersi anche altri fattori di contagio, tra i quali l'ignoranza e la mancanza di precauzioni nei riguardi dei contagiati, il tutto unito ad una certa malfidenza nei confronti dei medici...
Questo prezioso documento riporta la testimonianza diretta di un medico che ha vissuto in prima persona una di queste epidemie. Una narrazione in presa diretta che ben descrive ambienti e stati d'animo in una situazione difficile.
Dalla Gazzetta Medica Italiana – Lombardia, 24 dicembre 1855:
Il coléra in Sirta nel 1855. — Memoria del dott. Prospero Taroni, medicochirurgo condutto di Talamona.
"Quantunque tra le altre consorelle Lombarde la provincia di Valtellina sia di lunga mano stata la meno bersagliata dal coléra, v'hanno però in essa dei communi, nei quali il detto male dominò gravemente. Di questo numero uno fu il villaggio di Sirta, popolato da forse appena 250 abitanti, e frazione di mia condotta di Talamona. Il giorno 25 dello scorso agosto ammalavasi di coléra in Sirta certo Libera Giuseppe, e coloro che, o per carità o per dovere, erano in obligo di palesarlo a me, a ciò potessi in quel primissimo e preziosissimo momento attivare quei sussidj che la pratica dimostrò infallibili ad impedire la difusione del male, chi per pusillanimità, chi per ignoranza se ne stettero mutoli, lasciando che ognuno che il volesse entrasse nella stanza dell'ammalato, e poscia con que' di fuori liberamente communicasse. E se furono molti questi visitatori, Dio vel dica: da tutti affermavasi che era un caso di coléra, nessuno credeva alta sua contagiosità, nessuno aveva altre volte veduto una tale malatía, che già da molti anni faceva parlare di sè più che mezzo il mondo: ora come mai resistere alla tentazione di fare una visita ad un loro compaesano, ad un loro parente, o compare ridutto dalla nuova malatia in mal punto? Come astenersi dall'entrare nella sua stanza quando venivagli portato il viatico, se di mezzo ad essi nè pur una voce alzavasi a gridare quella verità, che molti di loro dovevano indi a pochi di suggellare con la propria vita, e che accolta per tempo ne li avrebbe in gran parte salvati: cioè che trattavasi di male contagioso, e perciò stessero bene in su le guardie, con quell'individuo coleroso non comunicassero? Che anzi, visti passare quattro giorni senza che nè il Libera morisse, nè altri di loro cadesse nella sua malatía, già tutti rallegravansi del senno che avevano dimostrato in non aver mandato per me, che co 'l boccettino, con la polvere, avrei issofatto spacciato il Libera, e poscia messo guardie e sequestri senza fine, e fatto cosi uno sciupio di danari, sparso lo spavento nella popolazione, posti su l'avviso i paesi confinanti perché non ammettessero a libera pratica que' di Sirta?
Ma questi bei sogni dovevano ben tosto svanire, e dar luogo al più crudele disinganno. Il giorno 30 dello stesso agosto, io, che solo allora ebbi odore del fatto, corsi alla Sirta, vidi il Libera già in preda al tifo, che dalle relazioni degli astanti conobbi essere cominciato con coléra grave; e perché né pure un istante mi avessi a rimanere titubante su la diagnosi della malattia, appena uscito dalla stanza del Libera, nel suo stesso corritojo, pochi passi lontano, visitai e trovai ammalata di coléra algido Grazia Tocalli, nipote del Libera, e che era stata in continua communicazione con lui. Ben co 'l senno e con la voce io m'adoprai tosto e a tutt’uomo di frenar il male, ma il dado era tratto, ed il morbo indiano serpeva già nelle vene di molti e molti di essi, sicché entro 94 ore ne caddero colpiti subito altri quattro, e, per non allungarvela di troppo, nel breve periodo di 49 giorni la cifra dei colerosi in Sirta fu di trentuno, oltre il Libera: cifra al certo grandissima se pongasi mente alla popolazione totale, che, come già dissi, è di forse 950 abitanti.
L'I.R. Commissario e l'I.R. Delegazione Provinciale tosto diedero ottimi provedimenti, ed il medico di Delegazione, signor dott. Ferrari, venuto in persona a verificar la cosa su 'l luogo, ordinò l'allestimento di uno spedale, che di fatti fu in quello stesso giorno messo in attività alla belli'e meglio. Ma i susurroni, ma i non credenti nel contagio, come appena videro il coléra coglier questo e quello benché di robusta tempra, benché pasciuto d'altro che di frutta e legumi, se la svignarono, lasciando nelle pesti il medico condutto: sorte troppo solita toccare a questo degnissimo corpo morale, condannato, come già la trojana Cassandra, a trovar chiuse le orecchie ed i cuori ogni qual volta, scorto dal lume dell'esperienza e del raziocinio, vaticina l’appressarsi di un qualche male, e ne suggerisce ed impetra i mezzi, atti a scongiurarlo; destinato, quando le sue profezie avveransi, a combattere presso che solo e contro il male vaticinato e contro l’ignoranza della plebe (plebe non sempre in rozze spoglie), mentre que' che prima gli gridavano la croce addosso, e con ogni studio cercavano di metterlo in voce di visionario e peggio, allibiti dalla paura se ne stanno rimpiattati nelle loro case, o dileguansi in capo al mondo; destinato per colmo di sventura a veder sè e la propria famiglia senza soccorso quando la vecchiaja e li stenti il rendono inetto a gravi fatiche, o quando è caduto da prode, su la breccia, per salvare chi lo rimunera di disprezzo e di calunnia. E pure tanta ingratitudine da una parte è impunita, è tolerata; e tanto eroismo dall'altra è senza premio. Vero è bene, che già da alcun tempo si ciancia di una provida riforma delle condutte; ma ci vorrebbono una volta esser fatti e non parole; e se non è una favola, a che tanto indugiare la publicazione di una legge, dalla giustizia e dall'interesse sociale cosi altamente richiesta?
Ma torniamo a bomba. I sintomi del coléra di Sirta furono i soliti, cui ometto per amore di brevità: fuvvi la solita complicazione verminosa, e la solita colerina, della quale ammalarono ben quaranta individui; ed osservossi il consueto silenzio delle malatie ordinarie, cosi che per circa un mese non vidi pur una febre intermittente; cosa straordinaria di que' tempi in quel paese circondato da paduli e da acquitrini: ed ora che il morbo indiano è spento da trenta giorni, queste febri intermittenti cominciano a far capolino. — La colerina in generale fu grave, e di non breve durata: quando era accompagnata da febre veemente, io faceva alcuni salassi: se prevaleva il dolore alla regione epigastrica, usava il sanguisugio al luogo del dolore: per uso interno tamarindo, manna, lauro ceraso, limonea vegetabile, e se eravi elmintiasi, olio di ricino e santonina: quando non vedeva indizj manifesti di irritazione intestinale, usava l’ipecacuana, o pure un po' d'aqua di cedro aggiuntevi alcune gocce di laudano: cibo nessuno, toltene due o tre panetelle leggeri al giorno; quiete assoluta. E la rigorosa dieta, ed il riposo erano tanto proficui, anzi necessarj alla buona riuscita della cura, che male incolse a chi li volle tener in non cale.
Quanto poi al colera vero, convengo io pure con quelli, che asseriscono doversi variar metodo al variare degli stadj, cioè tornar utile il metodo eccitante, stimolante nello stadio algido, ed essere in vece vantaggioso, indispensabile nello stadio di reazione il trattamento antiflogistico, deprimente, il tutto poi sempre in proporzione del diverso grado, della diversa indole della malatta, della costituzione, ecc. ecc., dell'ammalato. E di vero, quanto è palese, indubitato in quest'ultimo stadio l’esistenza di uno stato irritativo o decisamente infiammatorio in questo od in quella parte dell'organismo, altretanto perciò fondato il giudizio di un'opposta condizione nello stadio algido: quella quasi sospensione della circolazione sanguigna, per due o tre giorni, quell'abbattimento universale delle forze, quel freddo marmoreo della superficie del corpo e del sangue stesso, duro fatica a reputarli sintomi di uno stato flogistico. E se a taluno riescisse duro a capirsi come una malatia possa da una condizione andare in una opposta, e che per ciò abbiansi oggi ad adoperare forti eccitanti a combatterla, e domani all' opposto sottrazioni sanguigne, e d'ogni genere rimedi deprimenti, io risponderò che anche nell'assideramento, nel grave spavento si dà nei primi momenti di mano agli eccitanti più decisi, e quando sopraviene la reazione, nell'apparir delle angine, delle pleuritidi, delle epatidi, ecc., ci appigliamo in vece al salasso generale e locale, al tartaro stibiato, al chermes minerale, al laoro ceraso, in una parola ai soccorsi d'indole deprimente, antiflogistica. — Confortato da queste ragioni, e dal vantaggio, che non pochi altri medici confessavano aver ottenuto dalla terapia stimolante durante lo stadio algido nel coléra, la volli cimentare io pure, sempre pronto però a recedere e lasciarla, appena l'avessi veduta uscire un effetto tutt'altro da quello ch’io mi aspettava.
Nello stadio algido il principal rimedio da me adoperato fu il vino: appena erasi in taluno manifestato il coléra, facevalo involgere nelle migliori coltrici che si potevano avere (che l'ospitale n' avea di sorta nessuna), e praticargli fregagioni frequenti su tutto il corpo con spirito di vino canforato, o con aqua senapizzata: internamente poi gli somministrava un'oncia circa di buon vino da ripetersi ogni ora od anche a minor intervallo, secondo che l'individuo era adulto o tenero ancora, secondo che i sintomi di abbattimento e di algore erano più o meno gravi. Tra una cucchiajata e l’altra poi dava infuso di camomilla, aggiuntavi un po' d'aqua di menta o cannella, od anche laudano; e cosi continuava fino a che apparivano i primi sintomi di reazione, nel qual caso diminuiva a poco a poco la dose de' rimedi interni suddetti, sino a che, essendo affatto palese la reazione, li abbandonava interamente, per appigliarmi al solo decotto di tamarindo, od alla limonea vegetabile, se non v'erano indizj di infiammazione o congestione al ventricolo o al capo (luoghi prediletti in tal epoca da questo male). Ma tai sintomi rarissima cosa era che mancassero; ed io allora dava mano pochissime volte al salasso generale, quasi sempre al locale, abondante, ripetuto. Il ghiaccio, vuoi per uso interno, vuoi per uso topico, benvolontieri l'avrei adoperato, e certamente con vantaggio, ma nè in quel villaggio, nè a molta pezza lontano eravene briciola. Co 'l su indicati mezzi venivami il più delle volte fatto di trionfar della malatia: che se sottentrava il tifo, io lo curava co 'i mezzi che credeva da ciò, e che ora stimo inopportuno accennare. — Questo con pochissime variazioni fu il metodo, ond'io curai i colerosi di Siria, ed ecco con quale risultato.
Colpiti da vero coléra: casi 32; — di questi morirono 15. Ma dei 32 colpiti, solamente 25 furono da me curati, e di questi succumbettero otto: li altri sette o non furono da me punto veduti, o solo allora che stavano già esalando l’anima. Avvertasi inoltre, che un individuo calcolato fra 'i guariti, venne in principio della convalescenza preso da infiammazione al midollo spinale, la quale terminò poi con la morte.
Il risultato per verità sarebbe un po' lusinghiero; ma io sono ben lontano dal trarne conseguenze troppo larghe. A volere che un esperimento sia di molto valore, ragion vorrebbe che fosse praticato su di una scala d'assai più estesa che a me non fu concesso. Parmi però, che questi miei non improsperi successi possano infondere un ragionato coraggio a chi volesse battere la stessa strada che io.
Prima di por giù la penna non fia discaro che accenni, come in ben otto de' miei colerosi, oltre a molti altri affetti da colerina, quando già entravano in convalescenza, anzi, già lasciato il loro letto, facevano già qualche passo o nella propria stanza od anche fuori, apparvero segni di iritazione al midolla spinale, iritazione che in tre sviluppassi in aperta flogosi, con formicolio a tutta la vita, addormentamento delle mani e de' piedi, con febre ardita: anzi in una donna vi fu pure incipiente paralisi di tutti li arti, e questa dopo essere divenuta anasarcatica, succumbette. — Forse alcuno sentivasi tentato a volere ricercare nel metodo terapeutico antecedente la causa di questo straordinario numero di malatie spinali, e ripeterle dall’uso degli stimoli nel periodo algido. Ma se tale in realtà fosse la causa, perché un cosi fatto male doveva apparire a coléra già superato, anzi a convalescenza già inoltrata? Perché ne risentirono anche taluni ammalati di colerina, guariti con la sola dieta, tamarindo, limonata vegetabile?
Quanto alla contagiosità del colera io dirò, che per me (e giovami sperare che anche pe 'i miei lettori) ènon solo un'opinione, che ottimamente si tiene a cimento e a martello di qualunque severa discussione, ma più tosto un fatto chiaro come la luce del sole. L'epidemia di Sirta ne diede eloquentissimi esempj; e, tralasciando di enumerare i singoli casi, nei quali il colera dall'uno passò in altro individuo, che allora sarebbe un non finir mai, accennerò due soli fatti, i quali saranno all'uopo e d'avvantaggio per provare la mia asserzione. È da sapersi inprima, che la parochia di Sirta annovera, oltre il principal gruppo di case, chiamato propriamente Sirta, anche due altri gruppi, chiamati l'uno Luvisolo, Sostila l’altro, situati in monte ambidue.
Saputosi dagli abitanti di Sostila del colera sviluppatosi in Sirta, non fuvvi più alcuno di essi, che recar si volesse alla chiesa parochiale, che trovavasi in quest’ultimo luogo, né per la messa festiva, né per le altre funzioni sacre, siccome pria costumavano: anzi respinsero dalla loro terriciuola certuni di Sirta, che come a luogo vicino volevano colassù ripararsi, ed essi stessi per quanto tempo durò il colera in Sirta, guardaronsi bene dal porre piede in questovillaggio. Premio di queste loro sagge misure, con tutta costanza osservate, si fu l’immunità dal coléra: là dove que' di Lavisolo, che reputavansi a gran viltà il praticare come que' di Sostila, e ne li berteggiavano come pusillanimi, e per ciò traevano quotidianamente alla commune chiesa parochiale di Sirta, tenendosi in continua communicazione con persone infette, pagarono con sei vittime il fio di loro testardaggine.
— ll secondo fatto non meno eloquente del primo è il seguente: le parochie di Siria e Faido sono vicinissime tra loro e confinanti, e molti abitanti di esse per interessi di famiglia, e per le bisogne dell'agricoltura vanno quotidianamente dall’una all'altra parochia. Allorché il giorno 30 agosto ebbi a constatare l'esistenza del coléra a Sirta, ne scrissi tosto al paroco di Faido, dott. Carlo Noseda, sacerdote zelante e dotto, della cui amicizia mi tengo molto onorato: ed egli, che già da molto tempo innanzi, quando con parole blande, ora con ragioni, ed ora con minacce aveva istruito il suo popolo del sovrastante pericolo, e di quanto potevasi e dovevasi praticare ad evitarlo, o renderlo meno funesto, egli da buon pastore, da pastore, cui se anzi tutto deve stare a cuore la salute dell'anima, non deve però riuscire indifferente il ben essere fisico del suo gregge, si fu messo tosto all'opera, ed ottenne che dopo quella mia prima lettera fosse interrotta ogni connunicazione tra la sua parochia e quella di Sirta, che che da alcuni maligni od ignoranti si dicesse o facesse per smuover lui ed i suoi parochiani da quel giusto proposito. Il quale poi in fine produsse la salute di Faido: il coléra, giunto al confine di questa parochia, quasi avesse quivi trovato una barriera di altissimi monti, o gli si attraversasse un lago, un mare, e non un pacifico alpigiano che rifiutava il passare a quel di Sirta, il coléra, dico, ivi si arrestò.
Ma a provare il contagio v'è ancora qualche cosa di più. Il giorno 17 settembre, essendo già valichi otto giorni senza casi nuovi di coléra in Sirta, io permisi agli abitanti di questo villaggio che si recassero a Faido pe 'l taglio dei fieni: il dì 21 ammalavasi di coléra una donna di quest’ultimo paese che in capo a tre settimane guarì perfettamente. Suo marito, l'uomo il più grosso d'ingegno, e più presuntuoso ch'io m'abbia mai conosciuto, non contento di gridare con quanta voce aveva in gola “essere il coléra un castigo del Cielo, contro cui nulla può l'umana sapienza" giunse a tanto di impudenza da introdursi di soppiatto nella stanza di sua moglie inferma, e giacersene al suo fianco nello stesso letto per molte e molte notti. Ma giunse anche la sua ora. II giorno 15 ottobre, cioè tre giorni dopo la guarigione di sua moglie, venne ei pure colto da coléra gravissimo, dal quale poté a stento riaversi dopo tre settimane di cura assidua. D'allora in poi non fuvvi più caso alcuno di coléra in tutta la mia condutta."